Cenni storici

Storia della città di Partinico

Sin da epoca preistorica, la piana di Partinico è stata frequentata dall’uomo, come dimostrano i numerosi strumenti litici rinvenuti in diverse località e conservati nel Museo Civico di Partinico. In epoca protostorica invece (XIII-X sec.a.C.) la piana ha visto fiorire un regno sicano, con le città di Inico (Calatubo), Camico (Monte Bonifato), Crastos (Monte Palamita), Iccara (Monte D’Oro). Le due città di Inico e Camico vengono ripetutamente menzionate dalle fonti storiche come appartenenti alla dominazione agrigentina, fino alla conquista romana (III-IV sec. a.C.) che determinò, oltre alla loro scomparsa, la formazione del nuovo nome “Parthenicum”.

Durante il regno di Caracalla infatti (III sec. d.C) Parthenicum viene citato nel cosidetto Itinerarium Antonini Augusti, e nello stesso viene collocato lungo il percorso Panormo-Drepano che “per marittima loca” collegava Hyccara “ad Aquas Segestanas”. Parthenicum era una stazione di sosta, posta probabilemente in contrada Sirignano, ove nel secolo scorso sono stati rinvenuti i resti di una sontuosa villa romana, lungo la via che da Panormo, passando per Madonna del Ponte, portava alle “Acque Segestane sive Pincianae”, originariamente chiamate “aquae part-inicenses”, poi deformate in “p.incianae”: da qui l’origine del nome Partinico, cioè “nella parte di Inico”.

La presenza di reperti ceramici risalenti al periodo romano fa presumere che altri piccoli insediamenti erano posti in diverse località della piana, con prevalente funzione di sfruttamento del territorio: questi erano in c/da Raccuglia, in c/da Lazzalora, in c/da Galeazzo, a Cala Muletti o S.Cataldo (con funzione di porto ed emporio), a Castellaccio di Partinico, a Castellaccio di Sagana, a Manostalla e Calatubo. Ma tali insediamento furono successivamente abbandonati a seguito della caduta dell’impero romano e le invasioni barbariche del V secolo. Di due nuovi centri abitati bizantini si ha sicura notizia: uno è quello di Mirto (“fondo Anniana sive Myrtus,”) appartenente al nobile Lauricio, i cui ruderi si trovano ancora nelle vicinanze della omonima sorgente.

L’altro è dato dalla “massa taurana” localizzata in c/da Monacelli, che costituiva un insediamento di una certa consistenza fra le proprietà della chiesa romana. Durante la dominazione araba (IX-XI secolo) si conservano ancora gli antichi toponimi di Inico e Camico attraverso le dizioni di “Al Qamah” per indicare Alcamo, e di “B.RT.NIQ” per indicare Partinico, o meglio la “Terra” che era stata della capitale Inico. Al Muquaddasi nella sua opera del 988, intitolata “Ahan ‘at Tagasim”, parla di Partinico che “non giace sul mare, e produce molta hinna”, senza precisare la sua natura o consistenza. Maggiori informazioni ci vengono dai diplomi relativi al periodo normanno(XI-XII sec.). “B.rt.niq (Partinico) è graziosa TERRA” scrive Edrisi nel 1154; essa ha una fortezza (“Castrum”) sul “gaban” che stava “a cavaliere della Terra”, e un porto detto”Ar-rukn” distante due miglia verso tramontana.

Dunque durante il periodo normanno esiste una “Terra” di Partinico, cioè un distretto amministrativo il cui centro più importante era la fortezza sulla collina Cesarò (Gaban) e un porto (Ar-rukn) nella costa di San Cataldo. In tale epoca sotto il nome di “Partinico” venivano descritti una certa quantità di “terre” e beni che, a seguito della conquista normanna della Sicilia, saranno infeudate da Ruggero II a diversi suoi militi, fra cui gli Avenello. I diplomi del periodo normanno, oltre ai numerosi contenuti di ordine storico, offrono una visione della realtà geografica e morfologica della piana in cui sarà edificata l’attuale Partinico, nonchè delle antiche emergenze esistenti nel territorio. Da una prima descrizione dei confini del casale di Mirto (1133), si apprende che una grande sorgente, chiamata di “Irachi”, era al centro di un vasto acquitrinio detto Lumarge o Pantano, ai limiti della foresta che si estendeva fino al grande fiume Jato. Altre preesistenze sono documentate dai vari atti di donazione dei re a “miles” normanni.

Una Chiesa ed un vicino mulino si trovavano nel Casale di Partinico, donati nel 1111 da Rainaldo Avenello al Monastero di San Bartolomeo di Lipari. La Chiesa di San Giacomo (ruderi dei Canalini di Mottola) con le sue pertinenze e villani apparteneva alla chiesa di Palermo, come si evince da un documento del 1116. Un’altra Chiesa e un mulino si trovavano nella “piccola terra” della piana di S. Cataldo, e donati, assieme alla “fonte de Marsia”, nel 1165 da Maria (moglie di “Matteus de Partenico” e figlia di Rainaldo Avenello, a sua volta sposato con Fresenda, sorella del re Ruggero II), alla Chiesa di S Giorgio di Gratteri. Nel relativo atto si fa menzione di una strada che, proveniendo da Cinisi, attraversava il guado del fiume Nocella e arrivava ad un “trivio”: un tratto arrivava alla fonte di Piano Re e quindi alla “domus Rogeri”, o casa del Conte Ruggero, identificata con il complesso di contrada Sirignano, e un altro al predetto mulino.

In un altro atto, del 1176, con il quale vengono maggiormente precisati i confini del Casale di Mirto donato alla costituenda Chiesa di Santa Maria Nuova di Monreale, viene fatto cenno ad una torre di Ercole sita nei pressi di un monte che la sovrasta, e alla confluenza di due corsi d’acqua: probabilmete si tratta del primitivo impianto della torre di Santa Caterina. Durante la dominazione normanna assistiamo ad un progressivo abbandono dello “status” feudale del territorio di Partinico, con la donazione delle varie “piccole terre” e casali in favore della Chiesa: al Monastero di S. Bartolomeo di Lipari, cui subentra nel 1176 il Monastero di Santa Maria Nuova di Monreale, alla Chiesa di San Giorgio di Gratteri, alla Chiesa di Palermo e, ultimo in ordine di tempo (1210), all’ordine dei Templari da parte del miles Malgerio di Altavilla.

Questa tendenza troverà il suo atto finale nella donazione del territorio e foresta di Partinico: nel giugno 1307 Federico II revocò al miles Giovanni de Cammarana l’amministrazione e procura sulla foresta di Partinico (“foresta della nostra Curia di Partinico”), concedendo la stessa all’Abbazia del Monastero di Santa Maria di Altofonte e lasciando per sè la parte costiera del bosco fino ad un tiro di balestra dalla spiaggia, a condizione che la stessa foresta venisse diligentemente custodita. Nel 1309 lo stesso re fece ulteriori concessioni all’Abbazia dando licenza di poter costruire (“habitationem de novo facere”) nella “località detta ‘Sala’ del tenimento del bosco di Partinico”, con esenzione delle tasse per i primi cento abitanti: questo si può considerare l’atto di nascita dell’attuale PARTINIC0.

Lo scopo di Federico era quello di far sorgere in un luogo strategicamente importante un insediamento in grado di fornire assistenza ai viandanti in transito e garantire nello stesso tempo il controllo della foresta e dell’asse viario Palermo-Trapani-Mazara . Ma gli eventi bellici connessi alla guerra del Vespro non favorirono tale costruzione. Lo sbarco della flotta angioina nella baia di San Cataldo avvenuta nel 1314 rese alquanto insicura la piana al punto che, nel 1318, su richiesta di fra’ Pietro fu data licenza di poter costruire nel Casale della Sala del bosco di Partinico una fortezza a difesa dello stesso Abate, dei monaci e dei familiari. Tale fortilizio fu costruito “vicino alla montagna Cesarò in un sasso vivo”: probabilmente si tratta della torre sul cosidetto Castellaccio. La foresta rappresenta in questo periodo una realtà economica di un certo rilievo: sia il bosco di Partinico che quello limitrofo nord occidentale di Altavilla, costituivano una fonte preziosa per lo sviluppo del commercio, attraverso la produzione di mirto, carbone, legname di quercia, canne, e l’allevamento di maiali.

Resa “commendataria” l’Abazia (1435), tramontò l’epoca della salvaguardia della foresta e fu avviata la politica di concessione della stessa, autorizzandone la radicale trasformazione; questo porterà inevitabilmente alla sua totale scomparsa nel giro di pochi decenni. Il bosco era pochissimo abitato, sfruttato soprattutto dai carbonai, ed era una località quasi sconosciuta e remota, tanto che era necessario specificare “nel Golfo di Castellammare”. L’unica struttura edilizia documentabile di Partinico nel XV è costituita dall’esistenza di una taverna, denominata “La Charruba”, cui sovrintendeva tale Petrus La Scudera di Alcamo, castellano e campiere, con il compenso di 15 tarì all’anno. La stessa taverna, assieme ad altri beni (i vicini orti irrigati e due salme di terra da coltivare a vigne), fu concessa con atto del 3 novembre 1464 dall’Abate Bernardo Leonfante a Giovanni de Francisco, con l’obbligo di costruire un Fondaco in muratura, per il ricovero di uomini e animali.

Il Fondaco, divenuto successivamente Forno e Zagato, secondo Daniele Lo Grasso sorgeva senza dubbio ove sorgeva la Locanda Grande, nella Piazza del Duomo, corrispondente all’attuale casa Barra. Di esso, e di altre strutture contigue vi è testimonianza nelle scritture dell’Abazia di Altofonte, eseguite intorno al 1600, e che, scrive Lo Grasso, si trovavano “vicino alla piazza ed all’acqua del fiume”. Di altre strutture edilizie date per esistenti nel XV secolo, come la chiesetta di San Cristoforo o la Torre dell’Abbazia, non si hanno testimonianze certe. La concessione della taverna La Carruba, già condotta dal castellano Petrus La Scudera, ad Archembao Leonfante prima (1455), e a Giovanni de Francisco poi (1464), e la successiva descrizione del Fondaco costruito nelle sue vicinanze, ci permette di avere un quadro abbastanza completo della condizione urbanistica della “nuova” Partinico nelle seconda metà del XV secolo. Nell’attuale Piazza Duomo, all’incirca fra la casa Barra e il Cinema Exelsior, esistevano una comune taverna circondata da campi irrigati dalle acque del Lago, e i tuguri, ossia capanne; nel 1509 era ancora “un villaggio nella foresta, volgarmente chiamato Partinico”.

Nessun’altra struttura edilizia viene menzionata: la città di Partinico, ricostruita secondo alcuni autori sulle ceneri di una più antica città, non era altro che una povera taverna circondata da poche capanne costruite lungo le sponde del torrentello del Lago, nel feudo di Giannella, cui sovrastava poco distante il fortilizio di fra’ Pietro, costruito a seguito della concessione del 1318 ai piedi del colle Cesarò, per dimora e difesa degli abati. La fortificazione, o castello, esistente sul colle, ormai doveva avere un ruolo secondario nel controllo del territorio e della foresta, dal momento che il suo castellano Petrus la Scudera aveva il tempo di dedicarsi alla gestione della taverna La Carruba. Molto più lontano, lungo la fascia costiera confinante con il bosco di Partinico, sorgeva un “trappeta cum turri, seu fortilicio”, per la lavorazione delle cannamele, costruito a seguito della concessione delle terre delle “Balestrate” avvenuta nel 1456 ad opera di Alfonso il Magmanimo in favore del suo consigliere e camerlengo Nicolò Leonfante. Fra il XV e il XVI secolo furono costruite numerose torri di avvistamento e di difesa, come la torre Albachiara, di Sirignano, di Cicala, di Bonura, d’Amico, ecc., e diverse torri urbane che delimitavano il nucleo abitato di Partinico.

A comimciare dalla seconda metà del XVI secolo furono costruite nunerose chiese. Fra il 1552 e il 1570 fu costruita la Chiesa Madre che raccolse i simulacri della più antica chiesetta di San Cristoforo; dopo fu fondata la Chiesa dell’Immacolata, concessa all’omonima Confraternita e costruita nell’attuale Corso dei Mille nell’area oggi occupata dai negozi sottostanti l’ex Pretura, e lo stesso retrostante Ospedale del 1570 con ingresso dall’attuale Piazza Verdi, poi dismesso ed adibito, fino al 1985 a Pretura Mandamentale, ed oggi a sede del Settore Urbanistica del Comune di Partinico. Verso la fine del secolo fu costruita infine la Chiesa di San Francesco, detta anche “delle Anime Sante del Purgatorio”, nella via P.pe Amedeo angolo Via Rosso, chiusa al culto nell’immediato dopoguerra e trasformata nel 1950 in “Istituto Maria Pia”.

Quanto al Santuario della Madonna del Ponte, il cui culto risale alla prima metà del XIV secolo ad opera degli abati cistercensi del Monastero di S.M. di Altofonte, pur non essendo certa la sua originaria costruzione, è data certamente per esistente nel XVI secolo, nell’attuale sito, a circa tre chilometri da Partinico. Il più alto numero di chiese, costruite soprattutto ad opera di Congregazioni religiose, si ha nel secolo XVII. Nel 1619, per iniziativa del ricco enfiteuta palermitano Fabrizio Di Trapani, veniva costruito nel piano di “Gambacorta” (zona Villa Margherita) il Convento dei Frati Minori Cappuccini (oggi Casa del Fanciullo), con annessi un Oratorio, la Chiesa di Santa Maria degli Angeli , dai caratteristici orologi solari. Negli anni 1632-1634 ad opera del maestro Bonaventura veniva fondato il Convento del Carmine, con annessa Chiesa del Carmelo o della Madonna del Carmine. Del 1634 sono la Chiesa di San Leonardo, eretta ad opera della Compagnia del SS. Sacramento, sede del Consiglio Civico dal 1634 al 1719; la Chiesa di San Rocco, poi divenuta Oratorio dei Padri Carmelitani, dismessa negli anni ’50 e trasformata in Uffici Comunali e Scuole.

Tutte e tre le Chiese sorgono nel Corso dei Mille, delineando l’attuale Piazza Garibaldi. In questo periodo nasce, sempre nel Corso, la Chiesa di San Francesco Lo Vecchio, poi ricostruita nel 1739 e intitolata a San Giuseppe. Nel 1683 fu iniziata la costruzione della chiesa dell’Opera Santa della Misericordia, che muterà poi il nome di Chiesa del Sacro Cuore, per iniziativa dell’omonima congregazione, opera pia con il compito di raccogliere i corpi degli impiccati nel largo dei Cappuccini. Successivamente al 1693 fu costruita la chiesa dedicata a Maria SS. degli Agonizzanti (oggi nota come San Paolino) per iniziativa dell’omonima Compagnia che nel 1692 ebbe concesso alcuni tumoli di terra dal barone di Castellana Matteo Scammacca. Nel ‘700, dopo la conquista della Sicilia da parte di Carlo III di Borbone e la cacciata degli austriaci dall’Isola (1734-35), l’Abbazia di Altofonte, “commendataria” sin dal XV secolo, continuò ad amministrare il territorio di Partinico mediante i suoi abati che cercarono di aumentare i loro profitti attraverso la rivalutazione dei feudi dati in enfiteusi e l’introduzione di nuove tasse sui frutti prima esenti. Secondo Villabianca le condizioni di vita dei partinicesi nel XVIII secolo non erano proprio cattive: la popolazione, passata dai 2.032 abitanti del 1631 ai 9.772 del 1798, viveva in una certa agiatezza; le case, sebbene in poco numero, erano “appalazzate”, e quasi tutte erano aggregate a granai e magazzini. L’espansione urbanistica nel 1714 raggiunse l’attuale piazza Umberto I° ove fu edificato il Collegio di Maria, che accoglieva le ragazze orfane.

In esso si trova il sepolcro con relativo epitaffio del sacerdote Giovanni Bambina, zelante cappellano per 28 anni, eletto il 13 maggio 1759 e morto l’11 luglio 1787. Nel 1716, per dono fatto dal Cardinale Francesco Maria Acquaviva, fu portata a termine la costruzione della Fontana Barocca, inizialmente istallata all’incrocio fra la ex via Circonvallazione (oggi Via Magistrato Giannola) e la Via Vittorio E. Orlando, e successivamente (1824) trasferita nell’attuale sito in Piazza Duomo. Nel 1733 fu costruita la Chiesa di Gesù e Maria nella “via Grande” (via P.pe Amedeo), cui nel 1799 sarà annesso il Reclusorio di Maria del Ponte, mentre nel 1737 venne ultimata la costruzione della Chiesa di San Giuseppe, sull’ampliamento della preesistente Chiesa di San Francesco Lo Vecchio. Essendo ormai accresciuta notevolmente la popolazione, nel 1777 fu realizzato l’ampliamento della Chiesa Madre su progetto dell’arch. Patricolo: la chiesa si presentava con la stessa odierna struttura, a tre navate e croce latina, la cupola e l’annesso campanile. Sul finire del secolo, e precisamente nel 1789, furono costruite altre due chiese, e cioè la Chiesa di Maria SS. del Rosario annessa alla Casa Santa, ad Ovest dell’abitato lungo l’antica via per Ragali, e la Chiesa di San Gioacchino, a Nord-Est.

Altre notevoli opere eseguite nel corso di questo secolo furono la Chiesa della Madonna del Rifugio, non più esistente, il cosiddetto “Consorzio Agrario”, magazzino ancora esistente con il suo caratteristico prospetto nel Corso dei Mille, il Basamento con croce all’inizio del viale dei Platani, il Baglio con Cappella del Marchese Bellaroto e il Cortile della Decima in via P.pe Amedeo, e vari palazzi signorili. L’inizio del XIX secolo portò a Partinico notevoli mutamenti soprattutto nel campo sociale, politico, economico. La permanenza saltuaria del re Ferdinando frutterà infatti l’autonomia locale e il titolo di “città”, la costruzione della Cantina e Casina Reale, e l’abolizione degli ultimi abusi feudali. Nella seduta del Consiglio Civico riunito nella Chiesa di San Leonardo il 10 dicembre 1779, su proposta del marchese della Gran Montagna e dell’avvocato Gaetano Bonura, fu votato all’unanimità un ordine del giorno che tendeva ad ottenere per Partinico il titolo di città e per il Comune la completa emancipazione da Palermo, cui era soggetta sin dal 1616.

Ottenuto il riconoscimento di Comune autonomo con decreto reale del 19 aprile 1800, ed il titolo di città il 25 successivo, gli amministratori del tempo chiesero anche l’abolizione dei diritti feudali ancora esistenti, quali le decime delle uve e dei terragioli che i contadini dovevano versare nei magazzini dell’azienda abbaziale siti in via Principe Amedeo, angolo via Bellini, all’interno del cortile ancora oggi detto “Cortile della Decima”. Tale richiesta venne accolta anche per l’interessamento dell’intendente abaziale Cav. Felice Lioj, Ministro della Real Casa. Con l’autonomia, Partinico acquisì il diritto di avere un suo rappresentante al Parlamento Siciliano, e l’avv. Gaetano Bonura potè partecipare nel 1818 alla stesura della nuova Costituzione. Nel 1818 il Comune di Partinico, che dal 1616 utilizzava come stemma quello di Palermo in quanto V° Quartiere, venne autorizzato ad adottare un proprio emblema, raffigurante la dea Diana con una mano che regge una cornucopia e con l’altra appoggiata ad un tronco reciso; ai suoi pedi è un cane accovacciato.

Successivamente tale emblema sarà sostituito dall’acqula reale. Il livello culturale dei partinicesi ebbe certamente un momento favorevole con l’istituzione nel 1819, ad opera dell’arciprete Rosso, di un Ginnasio privato composto di cinque classi, e la nascita del Teatro di San Leopoldo nei magazzini della Decima, devoluti al Comune. A seguito della riforma degli Enti Locali avvenuta nel 1818, il Consiglio Comunale si compose di un Sindaco, due eletti e una “decuria”. Primo Sindaco di Partinico fu Raffaele Cannizzo, cui va il merito, assieme a Don Ignazio Rosso, di avere istituito il citato Ginnasio privato che ebbe però breve vita. A Cannizzo succedette prima il notaio Pietro Colina, poi il barone della Leggia Don Giuseppe Maria De Francisco. Durante la sindacatura di quest’ultimo fu definitivamente sistemata la settecentesca Fontana Barocca nella Piazza Duomo (1824), venne livellato e selciato il Corso principale, e vennero trasferiti gli uffici comunali dalla torre dell’Abbazia all’attuale Palazzo di città, ceduto in enfiteusi da Don Leonardo Rizzo, Segretario dell’Azienda Commendale (Ufficio Registro), e dalle figlie Maddalena e Anna Maria, con atto stipulato dal predetto notaio Pietro Colina in data 5 marzo 1826.

Nello stesso palazzo trovarono sistemazione anche l’amministrazione della giustizia, le scuole pubbliche, e le carceri. I Sindaci successivi furono: Ignazio Avolos (1830), il notaio Giuseppe Lanzafama (1833), il notaio Antonino Messana (1836), Francesco Merelli (fino al 1840), il dott. Girolamo Fama (1841), Ignazio Avolos (1843), il medico Ignazio Bonura (1845), il Marchese Ferdinado Bellaroto (1846-1850), Salvatore Savarino, che diede inizio alla costruzione dell’attuale cimitero, e il barone Giovan Michele De Francisco che fu in carica fino agli avvenimenti del 1860, quando Partinico, nel bene e nel male, partecipò all’impresa dei Mille. L’anno dopo, il nuovo Sindaco Ignazio Polizzi intitolò a Giuseppe Garibaldi la piazza del Carmine, e ai Mille il corso principale. Molte vie cittadine portano ancora i nomi dei predetti sindaci, e altre vie ricordano le imprese dei garibaldini: Marsala, Calatafimi, Palermo, Milazzo, Volturno. Poco prima della morte di Garibaldi in esilio, Partinico gli eresse un monumento nella Villa Margherita, opera dello scultore palermitano Civiletti. Nel decennio successivo al 1860, l’inettitudine ed incapacità degli amministratori comunali era la norma; nessuno si prendeva cura dei servizi pubblici; l’igiene era disastrosa, e la mortalità nella cittadina, che contava oltre 25.000 abitanti, era enorme (almeno 18 morti al giorno). Solo dopo il 1870 vi saranno amministratori efficienti e responsabili, come il Sindaco Giuseppe La Franca, e saranno realizzate alcune opere di una certa importanza culturale e sociale.

Il 30 ottobre 1870, con un solenne discorso tenuto dal concittadino prof. Carmelo Pardi, Preside del Ginnasio Sant’Anna di Palermo, veniva inaugurato il nuovo Ginnasio privato presso il Convento dei Carmelitani, già devoluto al Comune a seguito della legge 7 luglio 1866. Altra opera importante, realizzata e inaugurata presso la stessa sede il 13 novembre 1870 fu la Biblioteca pubblica che, tra i libri provenienti dalle soppresse corporazioni religiose, e quelli acquistati o avuti in dono, contava ben 3.557 volumi, molti dei quali preziosi manoscritti del ‘500, ‘600 e ‘700. Altro prezioso strumento di elevazione culturale e sociale fu la Società Operaia, fondata da Benedetto Passarello con la presidenza onoraria di Giuseppe Garibaldi. La Società, successivamente fusa con un’analoga società di borghesi, intorno al 1892 assumerà il nome di Fascio dei Lavoratori Partinicesi. Nello stesso periodo, l’ex Oratorio del Carmine, anch’esso devoluto al Comune, fu adibito a teatro ed affittato alle Compagnie private; purtroppo, nei lavori di adattamento, vennero perduti per sempre gli stucchi che ornavano l’antica chiesa di San Rocco, attribuiti allo scultore palermitano Giacomo Serpotta.

Nell’ultimo trentennio del secolo, con il lavoro di giunte più stabili e attive, furono realizzate molte opere, soprattutto nel settore igienico: furono costruiti i canaletti di spurgo nelle strade, venne potenziata la fornitura di acqua potabile mediante la realizzazione di grandi pozzi pubblici in diverse vie (Pozzo Nuovo, Pozzo di Grillo, P.pe Umberto, ecc.). Fra le opere pubbliche più importanti che sono state realizzate in questo fine secolo sono da ricordare il Palchetto Musicale, la Villa Comunale “Regina Margherita”, l’Istituto della Misericordia e della Croce con annessa chiesa di Maria SS. Assunta.

Bibliografia Testi a cura di Aldo Grillo

Pagina aggiornata il 10/08/2023

<

Quanto sono chiare le informazioni su questa pagina?

Grazie, il tuo parere ci aiuterà a migliorare il servizio!

Quali sono stati gli aspetti che hai preferito? 1/2

Dove hai incontrato le maggiori difficoltà?1/2

Vuoi aggiungere altri dettagli? 2/2

Inserire massimo 200 caratteri